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BIBLIOGRAFIA
PER AMORE DI ANNA

Copeland J. (1973)
Città Nuova (1998)
Igor Cenciarelli

 

Nel libro è narrata la storia dei primi 20 anni di vita di Ann Hodges. Grazie all'aiuto della sua famiglia, Ann sembra aver sconfitto l'autismo da cui era affetta, attraverso un lento e difficile cammino, in un periodo nel quale (Ann è nata nel 1952) del disturbo non si sapeva nulla e l'unico trattamento proposto era l'istituzionalizzazione. La ricostruzione dei fatti si basa sugli appunti che il padre, Jack Hodges, raccolse nel corso degli anni. Né lui né sua moglie, Ivy, avevano competenze in materia di disturbi psichiatrici. Tuttavia non si rassegnarono all'ineluttabilità della diagnosi che inizialmente fu loro proposta, secondo la quale loro figlia era affetta da una grave forma di schizofrenia e pertanto non era educabile.

Decisero che, da soli e insieme, si sarebbero presi cura di loro figlia concentrando ogni sforzo nel tentativo, apparentemente impossibile, di crescerla. I risultati furono al di là di ogni aspettativa. Non ci si trova quindi di fronte all'esposizione di un caso clinico e i fatti narrati spesso sono emotivamente molto coinvolgenti. Tanto meno viene qui proposto un "modello terapeutico" per l'autismo.

Il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1973, per cui molte informazioni appaiono "datate" (come per esempio la tonsillectomia per permettere ad Ann di parlare meglio) tuttavia rimane il suo valore storico come documento di un'epoca (neanche troppo lontana), in cui la società, preferiva rimuovere il problema di chi non è "educabile" perché affrontarlo appariva un'impresa impossibile.

Uno degli aspetti più interessanti è come Jack e Ivy Hodges, grazie alle loro notevoli capacità organizzative e di osservazione, si trovano infine ad impiegare tecniche e soluzioni simili a quelle su cui si basano molti degli interventi odierni sull'autismo: attività di apprendimento che occupano buona parte della giornata; processo per piccoli passi sequenziali; l'uso, soprattutto in una fase iniziale di punizioni e premi; l'utilizzo, seppur inconsapevole, di alcune strategie molto simili alle attuali tecniche comportamentali; monitoraggio continuo di ciò che facevano attraverso riunioni familiari (che chiamavano "consigli di guerra") alle quali gradualmente inizieranno a prendere parte anche i fratelli e infine Ann stessa.

Quello che colpisce nella famiglia Hodges è come i legami tra i membri invece di indebolirsi a causa dei molteplici aspetti problematici dell'autismo, si rafforzano in una collaborazione e un sostegno reciproci che coinvolgono attivamente anche i fratelli (Leonard e Leslie) nel prendersi cura di loro sorella.

La scelta dei genitori di Ann di utilizzare, soprattutto all'inizio, gli schiaffi per impedirle di mettere in atto i comportamenti problematici più gravi ha generato delle critiche, che vertevano essenzialmente su questi 2 punti: 1) non è proponibile la violenza fisica come trattamento terapeutico dell'handicap; 2) una persona con autismo ha già molte difficoltà di contatto con gli altri e l'uso della violenza fisica potrebbe accentuarle ulteriormente.

Rispetto al punto 1 credo che non si possa che essere d'accordo. Non bisogna però dimenticare che Jack e Ivy non erano i terapeuti, bensì i genitori di Ann e che loro stavano cercando di fornirle un'educazione con i mezzi a loro disposizione. Non hanno proposto alcun modello terapeutico per l'autismo. Per quanto sia una soluzione comunque discutibile, un ceffone mollato dal genitore al proprio figlio che "si comporta male" ha una valenza ben diversa (e socialmente rimane in ogni caso più accettabile) da quella di un ceffone da parte del terapeuta che fa altrettanto con la persona sotto trattamento. Va inoltre ricordato che Jack e Ivy procedettero per tentativi ed errori e furono disposti a non tralasciare nessuna possibilità. Utilizzarono gli schiaffi solo dopo aver verificato che era l'unico sistema con cui avevano ottenuto dei risultati e comunque lo abbandonarono non appena fu possibile sfruttare altri canali comunicativi con Ann.

Rispetto al punto 2 si può affermare che naturalmente il rischio di accentuare i problemi di contatto esiste davvero. Ma bisogna tener presente che le differenze individuali sono notevolissime e quindi ciò potrebbe non essere valido per tutti. Se ciò che è scritto nel libro è vero, Ann è la prova vivente che per lei è stato diverso.

Giudicare dall'esterno, a priori, è fin troppo semplice. Mettere da parte i giudizi e cercare di capire richiede invece molta energia ed è un lavoro che è un po' come crescere: non finisce mai.

 

 

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